ESTRAZIONE
COLTIVAZIONE
Il metodo di coltivazione che per molti anni è stato adottato è stato quello a cielo aperto. Con l’introduzione dei nuovi macchinari furono aperti i primi sottotecchia, si realizzarono i primi gradoni, si aprirono più cantieri in una stessa cava, dividendo il fronte unico in due o più avanzamenti. Con questi sistemi, in particolare i nuovi argani, compressori, officine meccaniche attrezzate, grandi serbatoi di acqua e impianti idrici di portata notevole, si ebbe la possibilità di estrarre blocchi di notevoli dimensioni. Si dovette però passare dagli iniziali elettrodotti a 5000 V-10000 V, fino agli attuali 15000 V, con adeguate cabine di trasformazione.
L’energia elettrica comporta problemi di isolamento perfetto, e le cave, essendo un ambiente umido, e la pietra, essendo un pessimo dispersore, hanno reso necessario la formazione di linee a terra fino a raggiungere suoli adatti a scaricare a terra le scariche elettriche.
Un ulteriore cambiamento dei metodi di coltivazione è stato certamente imposto dall’aumento della velocità di lavoro, che ha obbligato a organizzare il cantiere in più zone operative, per effettuare nel contempo, nella stessa cava, operazioni di preparazione, di abbattimento e di sgombero del prodotto, senza interferenze reciproche.
In alcuni casi, alcune complicazioni geostrutturali e topografiche, hanno imposto l’adozione del metodo di coltivazione in sotterraneo, anche se più costoso e difficoltoso di quello a cielo aperto, con i relativi problemi di illuminazione, ventilazione, di trasporto, di consolidamento dei pilastri difettosi, di inquinamento dovuto allo scarico degli automezzi, pale, ecc.
Sulle Alpi Apuane, attualmente sono aperte oltre trenta cave in sotterraneo e tante altre sono in programma per il prossimo futuro.
Attualmente si preferisce però coltivare in cave a pozzo o sottotecchia che ricevano luce direttamente dall’esterno con meno problemi rispetto alle cave in sotterraneo.
Per quanto riguarda le cave a pozzo sono state introdotti gli ascensori per le maestranze, mentre per il sollevamento del materiale utile e sterile vengono impiegati ancora i derrik.
L’energia elettrica comporta problemi di isolamento perfetto, e le cave, essendo un ambiente umido, e la pietra, essendo un pessimo dispersore, hanno reso necessario la formazione di linee a terra fino a raggiungere suoli adatti a scaricare a terra le scariche elettriche.
Un ulteriore cambiamento dei metodi di coltivazione è stato certamente imposto dall’aumento della velocità di lavoro, che ha obbligato a organizzare il cantiere in più zone operative, per effettuare nel contempo, nella stessa cava, operazioni di preparazione, di abbattimento e di sgombero del prodotto, senza interferenze reciproche.
In alcuni casi, alcune complicazioni geostrutturali e topografiche, hanno imposto l’adozione del metodo di coltivazione in sotterraneo, anche se più costoso e difficoltoso di quello a cielo aperto, con i relativi problemi di illuminazione, ventilazione, di trasporto, di consolidamento dei pilastri difettosi, di inquinamento dovuto allo scarico degli automezzi, pale, ecc.
Sulle Alpi Apuane, attualmente sono aperte oltre trenta cave in sotterraneo e tante altre sono in programma per il prossimo futuro.
Attualmente si preferisce però coltivare in cave a pozzo o sottotecchia che ricevano luce direttamente dall’esterno con meno problemi rispetto alle cave in sotterraneo.
Per quanto riguarda le cave a pozzo sono state introdotti gli ascensori per le maestranze, mentre per il sollevamento del materiale utile e sterile vengono impiegati ancora i derrik.
ASPORTAZIONE
I materiali lapidei sono estratti dalle loro zone di formazione fin dall’antichità. Interessante è l’evoluzione delle metodologie di estrazione. Di seguito analizzeremo le varie fasi facendo riferimento in particolare alle cave della zona di Carrara.
Secondo notizie tramandate attraverso il tempo nell’ambiente dei cavatori e dall’osservazione di tracce scoperte con lo sgombero di antichi ravaneti, i romani eseguivano dei lunghi tagli al monte, seguendo una curva di livello, a distanza prestabilita dal ciglio del fronte di abbattimento, realizzando una fossetta, lunga quando il masso da varare, capace di alloggiare tronchi di legno, opportunamente sagomati, immersi nell’acqua che veniva gettata nella fossetta. La dilatazione lenta, ma efficace provocava una fessura larga e profonda. Questa veniva successivamente allargata con cunei e palanchini, fino a provocare il ribaltamento del masso.
Altro sistema di taglio praticato fino agli anni cinquanta, era quello delle formelle cuneiformi o “tariffe”, nelle quale venivano inserite una serie di cunei tra due “cialdini” (piastrine di ferro), legati ad una corda per il loro recupero al termine dell’operazione di taglio. I “Tecchiaioli” usavano questo sistema sulle pareti rocciose delle cave.
L’introduzione graduale prima dell’aria compressa e poi degli impianti con filo elicoidale, rivoluzionarono il sistema di estrazione tra lo scetticismo delle aziende minori, che non avevano le possibilità finanziarie di acquistare tali impianti.
Tuttavia l’aumento dei costi veniva compensato dall’aumento della velocità di produzione che passa dalle 35 – 40 t/uomo, all’anno, che resta invariato dal 1950 al 1980, alle 70 – 80 t/uomo all’anno.
Con l’introduzione del trasporto su camion con ribaltabile la produzione passò a 100 t/uomo l’anno.
Il filo diamantato introdotto negli anni settanta ha dato al svolta decisiva: la velocità di taglio sia al monte che sui piazzali aumentò vertiginosamente raggiungendo i 10 – 12 m2 l’ora. La tagliatrice a catena dentata Korfmann venne accolta con entusiasmo soprattutto dagli esercenti che erano costretti a lavorare anche nei sotterranei.
Successivamente si sono introdotte nel mercato la Fantini, la Garone e quella a nastro diamantato della Benetti.
Questo mezzo contribuì non soltanto alla riattivazione di quei cantieri ormai considerati esauriti, ma anche a migliorare le condizioni di sicurezza.
In particolare la razionalizzazione dei lavori di ribaltamento, caricamento e sgombero consente l’avanzamento rapido al successivo fronte di cava.
Per quanto riguarda i graniti, qualsiasi di questi mezzi non ha dato vantaggi economici per la lentezza dell’esecuzione del taglio a causa della durezza del materiale.
In questi casi è più vantaggioso eseguire il sistema di taglio con fori e l’esplosivo.
Secondo notizie tramandate attraverso il tempo nell’ambiente dei cavatori e dall’osservazione di tracce scoperte con lo sgombero di antichi ravaneti, i romani eseguivano dei lunghi tagli al monte, seguendo una curva di livello, a distanza prestabilita dal ciglio del fronte di abbattimento, realizzando una fossetta, lunga quando il masso da varare, capace di alloggiare tronchi di legno, opportunamente sagomati, immersi nell’acqua che veniva gettata nella fossetta. La dilatazione lenta, ma efficace provocava una fessura larga e profonda. Questa veniva successivamente allargata con cunei e palanchini, fino a provocare il ribaltamento del masso.
Altro sistema di taglio praticato fino agli anni cinquanta, era quello delle formelle cuneiformi o “tariffe”, nelle quale venivano inserite una serie di cunei tra due “cialdini” (piastrine di ferro), legati ad una corda per il loro recupero al termine dell’operazione di taglio. I “Tecchiaioli” usavano questo sistema sulle pareti rocciose delle cave.
L’introduzione graduale prima dell’aria compressa e poi degli impianti con filo elicoidale, rivoluzionarono il sistema di estrazione tra lo scetticismo delle aziende minori, che non avevano le possibilità finanziarie di acquistare tali impianti.
Tuttavia l’aumento dei costi veniva compensato dall’aumento della velocità di produzione che passa dalle 35 – 40 t/uomo, all’anno, che resta invariato dal 1950 al 1980, alle 70 – 80 t/uomo all’anno.
Con l’introduzione del trasporto su camion con ribaltabile la produzione passò a 100 t/uomo l’anno.
Il filo diamantato introdotto negli anni settanta ha dato al svolta decisiva: la velocità di taglio sia al monte che sui piazzali aumentò vertiginosamente raggiungendo i 10 – 12 m2 l’ora. La tagliatrice a catena dentata Korfmann venne accolta con entusiasmo soprattutto dagli esercenti che erano costretti a lavorare anche nei sotterranei.
Successivamente si sono introdotte nel mercato la Fantini, la Garone e quella a nastro diamantato della Benetti.
Questo mezzo contribuì non soltanto alla riattivazione di quei cantieri ormai considerati esauriti, ma anche a migliorare le condizioni di sicurezza.
In particolare la razionalizzazione dei lavori di ribaltamento, caricamento e sgombero consente l’avanzamento rapido al successivo fronte di cava.
Per quanto riguarda i graniti, qualsiasi di questi mezzi non ha dato vantaggi economici per la lentezza dell’esecuzione del taglio a causa della durezza del materiale.
In questi casi è più vantaggioso eseguire il sistema di taglio con fori e l’esplosivo.
ABBATTIMENTO
I primitivi eseguivano gli abbattimenti con l’utilizzo di palanchini, cunei e altri utensili, capaci di esercitare spinte a leva, usufruendo dell’anfrattuosità, fratture, litoclasi naturali o esistenti o realizzate manualmente nel contesto della massa marmorea.
L’impiego di esplosivi nel corso di circa un secolo ha permesso l’aumento di produzione ma nello stesso tempo ha causato gravi danni nell’apuano.
Infatti a distanza di circa 100 m e dopo molti anni dalla sospensione delle varate, si posso notare a monte fessure estese e profonde causate dalle esplosioni.
Attualmente il sistema di abbattimento si è ridotto al ribaltamento delle porzioni di banco già separate dal monte mediante tagli di base e sub-verticali, effettuati da cuscini idraulici, martinetti oleodinamici o semplicemente con la pala meccanica.
L’impiego di esplosivi nel corso di circa un secolo ha permesso l’aumento di produzione ma nello stesso tempo ha causato gravi danni nell’apuano.
Infatti a distanza di circa 100 m e dopo molti anni dalla sospensione delle varate, si posso notare a monte fessure estese e profonde causate dalle esplosioni.
Attualmente il sistema di abbattimento si è ridotto al ribaltamento delle porzioni di banco già separate dal monte mediante tagli di base e sub-verticali, effettuati da cuscini idraulici, martinetti oleodinamici o semplicemente con la pala meccanica.
RIQUADRATURA
In un cantiere di grandezza media che occupava 15 – 20 operai, 4 o 5 svolgevano il duro lavoro della riquadratura degli informi. Seduti sui grandi blocchi o in piedi a fianco ad essi, dovevano spianare scabrose superfici, a colpi di mazzuolo, sulla sabbia sempre appuntita.
La prima operazione da compiere era quella della scapezzatura del blocco, consistente nella eliminazione a colpi di mazza, delle prominenze e delle sporgenze vistose su tutti i lati del blocco.
Quindi iniziava l’operazione lunga e monotona a forza di colpi di mazzuolo e sabbia, di rendere perfettamente piane le sei faccie del blocco, con il rischio di essere colpiti da scaglie.
La squadratura poteva anche avvenire con una sega a mano e una miscela di acqua e sabbia silicea abrasiva.
L’impiego del filo elicoidale ridusse le operazioni di squadratura. Con l’introduzione del filo diamantato la figura dello squadratore non ha più avuto ragione di esistere. A favorire la sua scomparsa è stato l’utilizzo dei blocchi informi, di medie e piccole dimensioni nei laboratori per la produzione di materiale per l’edilizia sezionato con le taglia- blocchi munite, anche, di dischi diamantati molto grandi. La vendita degli informi, ha permesso alle cave, nelle quali non era possibile l’estrazione di blocchi di grande dimensioni, di sopravvivere.
La prima operazione da compiere era quella della scapezzatura del blocco, consistente nella eliminazione a colpi di mazza, delle prominenze e delle sporgenze vistose su tutti i lati del blocco.
Quindi iniziava l’operazione lunga e monotona a forza di colpi di mazzuolo e sabbia, di rendere perfettamente piane le sei faccie del blocco, con il rischio di essere colpiti da scaglie.
La squadratura poteva anche avvenire con una sega a mano e una miscela di acqua e sabbia silicea abrasiva.
L’impiego del filo elicoidale ridusse le operazioni di squadratura. Con l’introduzione del filo diamantato la figura dello squadratore non ha più avuto ragione di esistere. A favorire la sua scomparsa è stato l’utilizzo dei blocchi informi, di medie e piccole dimensioni nei laboratori per la produzione di materiale per l’edilizia sezionato con le taglia- blocchi munite, anche, di dischi diamantati molto grandi. La vendita degli informi, ha permesso alle cave, nelle quali non era possibile l’estrazione di blocchi di grande dimensioni, di sopravvivere.
TRASPORTO
Dall’epoca romana ai tempi di Michelangelo, e per alcuni anni successivi, esistono oggi testimonianze attendibili sul sistema di trasporto allora più diffuso: l’abbrivio.
Per trasportare i massi informi o appena sbozzati, come colonne, capitelli di grandi dimensioni, ecc, si praticava l’abbrivio lungo le scarpate di massima pendenza, preferibilmente sui ravaneti, mediante il rotolamento del materiale stesso. Questo metodo era molto pericoloso e produceva danni anche irreparabili ai massi sbozzati. Dai poggi di fondovalle, che consistevano in terrapieni pianeggianti sorretti da bastoni o muri a secco contenitori i quali, a loro volta, servivano come piani caricatori. Il materiale veniva caricato sui carri di legno, con ruote di ferro, trainati da lunghe file di buoi disposti a coppia, e trasportati fino alle segherie e al porto.
All’abbrivio seguì la lizzatura a mano, con lizze, parati, forti con piri e funi di canapa da 80 mm e tra la prima e la Seconda Guerra Mondiale con funi di acciaio ultra flessibile da 32 mm.
Occorrevano 13 – 14 uomini per la lizzatura che avveniva in condizioni pericolosissime con frequenti incidenti anche gravissimi. Erano costretti a iniziare il lavoro all’alba in modo da terminarlo in tarda mattinta in modo che lo scarico dei materiali di detriti delle cave superiori rendesse impraticabile la via di lizza. La lizzatura consisteva nell’avvolgere la corda alla quale erano legati i blocchi attorno al “Piro”. Questa veniva srotolata progressivamente, a ogni segnale degli addetti all’accompagnamento dei blocchi. I parati venivano insaponati e posti a terra: sopra di essi passavano i blocchi. Un altro uomo con il palanchino rimuoveva le pietre lungo la via lizza. Con le funi di canapa si usavano due lizze; con le funi in acciaio ultraflessibile se ne usavano tre. Con il palanchino si dava anche la direzione ai blocchi.
Michelangelo fu un protagonista della costruzione delle vie di lizza nel Carrarese da dove prelevava il statuario per le sue opere e venne definito un ingegnere stradale.
La lizzatura a mano venne successivamente sostituita con quella ad argano a motore alla stazione superiore e binario a scartamento ridotto, o con monorotaia e automotrice con carrello.
Nel contempo fu costruita una fitta rete di teleferiche che ormai servivano la maggior parte delle cave importanti, per il trasporto della sabbia silicea che prima veniva portata in cava da muli. La teleferica di Balzone portava fino a venti tonnellate di marmo in blocchi, materiali vari e personale, da quota 500 s.l.m a 1000 m s.l.m.
Le teleferiche con campate non di rado uniche, lunghe e ardite, erano sistemate su cavalletti (tralicci) metallici di supporto alle funi di acciaio portanti e trainanti , installati a mezza costa tra le cave e i poggi, su cui scorrevano carrelli va e vieni. Gli incidenti erano frequenti ma questi impianti alleviavano le sofferenze dei cavatori.
Dai poggi, per molto tempo furono utilizzati buoi per trasportare i blocchi a valle e caricarli sui velieri.
I buoi partivano lenti alle 23 dalle stalle per arrivare all’alba sui poggi dove li attendevano i carri con 15 – 20 tonnellate di marmo.
Cinque, dieci, venti coppie di buoi una di fronte all’altra, esercitavano una potente trazione che spostava il carro lentamente per 16 – 17 ore di fila, fino a valle.
I carri avevano ruote di diametro 1,2 m con raggi di legno e battistrada ferrato largo circa 20 cm e potevano trasportare fino a 20 tonnellate.
Terminato il lavoro i buoi venivano staccati e riportati nelle stalle.
Al museo di Fantiscritti che abbiamo visitato è possibile vedere due buoi di marmo di grandezza naturale trainanti un carro. Per tasportare il monolite del Foro Italico estratto dalla cava da noi visitata di Carbonera, sono stati utilizzati 36 paia di buoi. Il monolite era lungo 19 m a sezione quadrata di 2.35 m x 2.00 m, ossia 89.300 m3 circa 250 tonn, fasciato con 50 tonn di legname e 40 tonn di ferro e lizzato dalla cava di Carbonera fino a valle di Fantiscritti e poi trasportato con i buoi.
Venne imbarcato il 23 giugno 1929 a Marina di Carrara su una chiatta da circa 150 tonn.
Anche i muli hanno avuto un ruolo importante per il trasporto dei materiali dai poggi alle cave, attraverso le mulattiere. Portavano dai 100 ai 150 kg di sabbia silicea ogni viaggio; ogni giorno facevano dai 10 ai 15 viaggi.
Un ruolo importante successivamente lo ebbero le ferrovie marmifere di Carrara e della Versiglia.
Quando il trasporto ferroviario risultò antieconomico i 22 km di strada ferrata vennero sostituite da strade asfaltate per i camion. Questo passaggio provocò molti incidenti mortali per l’irrazionalità delle sedi stradali con pendenze che superano il 25% in alcuni tratti e raggi di curvatura impossibili da superare. I primi mezzi stradali erano inoltre rudimentali e privi di impianti frenanti adatti alla situazione stradale.
Nei cantieri estrattivi per il carico dei blocchi sui camion si fa uso del derrik da 20 a 40 t, con bracci da 18 a 45 m, oppure di pale meccaniche.
Per trasportare i massi informi o appena sbozzati, come colonne, capitelli di grandi dimensioni, ecc, si praticava l’abbrivio lungo le scarpate di massima pendenza, preferibilmente sui ravaneti, mediante il rotolamento del materiale stesso. Questo metodo era molto pericoloso e produceva danni anche irreparabili ai massi sbozzati. Dai poggi di fondovalle, che consistevano in terrapieni pianeggianti sorretti da bastoni o muri a secco contenitori i quali, a loro volta, servivano come piani caricatori. Il materiale veniva caricato sui carri di legno, con ruote di ferro, trainati da lunghe file di buoi disposti a coppia, e trasportati fino alle segherie e al porto.
All’abbrivio seguì la lizzatura a mano, con lizze, parati, forti con piri e funi di canapa da 80 mm e tra la prima e la Seconda Guerra Mondiale con funi di acciaio ultra flessibile da 32 mm.
Occorrevano 13 – 14 uomini per la lizzatura che avveniva in condizioni pericolosissime con frequenti incidenti anche gravissimi. Erano costretti a iniziare il lavoro all’alba in modo da terminarlo in tarda mattinta in modo che lo scarico dei materiali di detriti delle cave superiori rendesse impraticabile la via di lizza. La lizzatura consisteva nell’avvolgere la corda alla quale erano legati i blocchi attorno al “Piro”. Questa veniva srotolata progressivamente, a ogni segnale degli addetti all’accompagnamento dei blocchi. I parati venivano insaponati e posti a terra: sopra di essi passavano i blocchi. Un altro uomo con il palanchino rimuoveva le pietre lungo la via lizza. Con le funi di canapa si usavano due lizze; con le funi in acciaio ultraflessibile se ne usavano tre. Con il palanchino si dava anche la direzione ai blocchi.
Michelangelo fu un protagonista della costruzione delle vie di lizza nel Carrarese da dove prelevava il statuario per le sue opere e venne definito un ingegnere stradale.
La lizzatura a mano venne successivamente sostituita con quella ad argano a motore alla stazione superiore e binario a scartamento ridotto, o con monorotaia e automotrice con carrello.
Nel contempo fu costruita una fitta rete di teleferiche che ormai servivano la maggior parte delle cave importanti, per il trasporto della sabbia silicea che prima veniva portata in cava da muli. La teleferica di Balzone portava fino a venti tonnellate di marmo in blocchi, materiali vari e personale, da quota 500 s.l.m a 1000 m s.l.m.
Le teleferiche con campate non di rado uniche, lunghe e ardite, erano sistemate su cavalletti (tralicci) metallici di supporto alle funi di acciaio portanti e trainanti , installati a mezza costa tra le cave e i poggi, su cui scorrevano carrelli va e vieni. Gli incidenti erano frequenti ma questi impianti alleviavano le sofferenze dei cavatori.
Dai poggi, per molto tempo furono utilizzati buoi per trasportare i blocchi a valle e caricarli sui velieri.
I buoi partivano lenti alle 23 dalle stalle per arrivare all’alba sui poggi dove li attendevano i carri con 15 – 20 tonnellate di marmo.
Cinque, dieci, venti coppie di buoi una di fronte all’altra, esercitavano una potente trazione che spostava il carro lentamente per 16 – 17 ore di fila, fino a valle.
I carri avevano ruote di diametro 1,2 m con raggi di legno e battistrada ferrato largo circa 20 cm e potevano trasportare fino a 20 tonnellate.
Terminato il lavoro i buoi venivano staccati e riportati nelle stalle.
Al museo di Fantiscritti che abbiamo visitato è possibile vedere due buoi di marmo di grandezza naturale trainanti un carro. Per tasportare il monolite del Foro Italico estratto dalla cava da noi visitata di Carbonera, sono stati utilizzati 36 paia di buoi. Il monolite era lungo 19 m a sezione quadrata di 2.35 m x 2.00 m, ossia 89.300 m3 circa 250 tonn, fasciato con 50 tonn di legname e 40 tonn di ferro e lizzato dalla cava di Carbonera fino a valle di Fantiscritti e poi trasportato con i buoi.
Venne imbarcato il 23 giugno 1929 a Marina di Carrara su una chiatta da circa 150 tonn.
Anche i muli hanno avuto un ruolo importante per il trasporto dei materiali dai poggi alle cave, attraverso le mulattiere. Portavano dai 100 ai 150 kg di sabbia silicea ogni viaggio; ogni giorno facevano dai 10 ai 15 viaggi.
Un ruolo importante successivamente lo ebbero le ferrovie marmifere di Carrara e della Versiglia.
Quando il trasporto ferroviario risultò antieconomico i 22 km di strada ferrata vennero sostituite da strade asfaltate per i camion. Questo passaggio provocò molti incidenti mortali per l’irrazionalità delle sedi stradali con pendenze che superano il 25% in alcuni tratti e raggi di curvatura impossibili da superare. I primi mezzi stradali erano inoltre rudimentali e privi di impianti frenanti adatti alla situazione stradale.
Nei cantieri estrattivi per il carico dei blocchi sui camion si fa uso del derrik da 20 a 40 t, con bracci da 18 a 45 m, oppure di pale meccaniche.
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